venerdì 30 dicembre 2016

La guerra segreta dell'Australia contro gli aborigeni


I corridoi del parlamento australiano sono così bianchi che ti fanno strizzare gli occhi. Il suono è sommesso; l’odore è di cera per pavimenti. I pavimenti in legno brillano così virtuosamente che riflettono le caricature dei primi ministri e file di dipinti aborigeni, appesi su pareti bianche, il loro sangue e le lacrime invisibili.






Il parlamento si trova a Barton, un sobborgo di Canberra dal nome del primo ministro dell’Australia, Edmund Barton, il quale ha redatto la White Australian policy (Politica dell’Australia bianca) nel 1901. “La dottrina dell’uguaglianza dell’uomo”, ha detto Barton, “non si è mai voluto applicarla” a coloro che non sono britannici e di pelle bianca. La preoccupazione di Barton riguardava il cinese, noto come il pericolo giallo; lui non aveva menzionato la più vecchia e durevole presenza sulla terra: i primi australiani. Essi non sono esistiti. La loro sofisticata cura della terra arida non è interessante. La loro resistenza epica non è mai accaduta. Di coloro che combatterono gli invasori britannici in Australia, il Sydney monitor afferma nel 1838: “E’ stato deciso di sterminare l’intera razza nera in quell’angolo”. Oggi, i sopravvissuti sono un vergognoso segreto nazionale.










La città di Wilcannia, nel Nuovo Galles del sud, si è distinta due volte. Ha vinto il premio come la miglior città ordinata e le sue popolazioni indigene hanno una delle più basse aspettative di vita mai registrate. Muoiono all’età di 35 anni. Il governo cubano gestisce un programma di alfabetizzazione per loro e per i poveri dell’Africa. Secondo la Credit Suisse Global Wealth report, l’Australia è il paese più ricco della terra. I politici a Canberra sono tra i cittadini più benestanti. La loro auto-investitura è leggendaria. L’anno scorso, l’allora ministro per gli affari indigeni, Jenny Macklin, rinnovò il suo incarico con un costo per il contribuente di 331.144 dollari. Macklin ha recentemente affermato che nel governo ha fatto una “grande differenza”. Questo è vero. Durante il suo mandato, il numero di aborigeni che vivono nelle baraccopoli è aumentato di quasi un terzo e più della metà dei soldi spesi per l’edilizia abitativa indigena è stata intascata dagli appaltatori bianchi, una burocrazia per la quale è stata fondamentalmente responsabile. Una tipica casa pericolante nella comunità indigena dell’outback (entroterra) deve ospitare fino a 25 persone. Le famiglie, gli anziani e i disabili aspettano da anni perché i servizi igenico-sanitari funzionino. 





Nel 2009 il professor James Anaya, il rispettato portavoce delle Nazioni Unite sui diritti degli aborigeni, descrive come razzista lo “stato di emergenza” che ha privato le comunità aborigene dei loro tenui diritti e servizi con il pretesto che le gang di pedofili sono presenti in numeri “inconcepibili”,  un’affermazione respinta come falsa dalla polizia e dalla Commissione sul crimine australiano. Il portavoce dell’opposizione sugli affari indigeni, Tony Abbott, ha detto ad Ananya di “farsi una vita” e “di non ascoltare solo la brigata vecchia e vittimista.” Abbott è ora il primo ministro dell’Australia. Ho guidato nel cuore rosso dell’Australia centrale ed ho chiesto alla dottoressa Janelle Trees della “brigata vecchia e vittimista”. Un medico di famiglia, i cui pazienti indigeni vivono a pochi chilometri dai mille dollari per notte resort servendo Uluru (Ayers Rock), ha detto, “C’è amianto nelle case degli aborigeni, e quando a qualcuno viene trovata una fibra di amianto nei polmoni e si sviluppa il mesotelioma, [al governo] non interessa”. Quando i bambini hanno infezioni croniche e finiscono ad aggiungersi a queste statistiche incredibili di persone indigene morte per malattie renali e record mondiali sulla vulnerabilità per malattie cardiache reumatiche, non si fa nulla. Mi chiedo: perché no?



La malnutrizione è comune. Ho voluto dare ad un paziente un anti-infiammatorio per un’infezione che sarebbe stata evitata se le condizioni di vita fossero state migliori, ma non potevo farle il trattamento perché non aveva abbastanza cibo da mangiare e non poteva ingerire le compresse. A volte mi sento come se avessi a che fare con condizioni simili a quelle della classe operaia inglese all’inizio della rivoluzione industriale.
A Canberra, negli uffici ministeriali dove mostrano ancor più l’arte della prima-nazione, mi è stato detto più volte come sono stati “orgogliosi” per “quanto fatto per gli indigeni australiani”. Quando ho chiesto a Warren Snowdon, il ministro della sanità degli aborigeni nel partito Laburista recentemente rimpiazzato dalla coalizione conservatrice di Abbott, il perché dopo quasi un quarto di secolo, nel quale ha rappresentato i più poveri e i più ammalati australiani, non sia ancora arrivato ad una soluzione, ha risposto, “Che domanda stupida. Che domanda puerile”.
Al termine della parata ANZAC a Canberra sorge l’Australian National War Memorial, che lo storico Henry Reynolds chiama “il centro sacro del nazionalismo bianco”. Mi è stato vietato di filmare in questo grande luogo pubblico. Avevo commesso l’errore di esprimere un interesse per le guerre di frontiera nelle quali gli australiani neri hanno combattuto l’invasione Britannica senza armi ma con ingegno e coraggio,  l’epitome della “tradizione ANZAC”.
Eppure, in un paese disseminato di cenotafi, nessuna commemorazione ufficiale per quei caduti resistiti “ad una delle più grandi appropriazioni di terra nella storia del mondo”, ha scritto Reynolds nel suo libro più famoso la Guerra Dimenticata. Altri primi australiani furono uccisi come i nativi americani sulla frontiera americana e i maori in Nuova Zelanda.



Nel 2000 sono stato a Sydney durante le Olimpiadi e mi ha stupito il fatto che ogni campagna pubblicitaria turistica ci fosse sempre un'immagine di un aborigeno e che la medaglia d'oro dei 400 metri Cathy Freeman (aborigena) sia stata festeggiata dai suoi concittadini solo fino alla premiazione. 
Ma è inutile fare qualsiasi ragionamento, come spesso mi succede, quando l'argomento mi fa incazzare e anche tanto.